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ARCHITETTI & CLIENTI: DIARIO SEMISERIO DEL PROGETTO DI UNA NUOVA CASA

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La genesi di un nuovo progetto per un architetto o designer nasce, quasi sempre, da una chiacchierata in cui il cliente, più o meno di fretta chiede al professionista: ti andrebbe di fare questo progetto per me? Il professionista, alle prime armi o esperto, minimalista o massimalista, precisino o più spavaldo dopo aver risposto “ovvio che sì”, inizia a immaginare la storia di quella nuova sfida su cui misurarsi, crescere, fare qualche nuovo azzardo formale o materico. Specie se si tratta della realizzazione di una nuova casa, il diario di cantiere, se qualcuno ne tiene uno più poetico che tecnico, è un libretto di esperienze, sensazioni, immagini, idee e dubbi. Perché ogni professionista che si rispetti, in qualsiasi momento del giorno, o della notte, dirà a se stesso: “qui avrei potuto fare anche così”; le idee, l’immaginazione, la versione aggiornata di un progetto già quasi finito, non è magari sempre messa su carta ma è quasi sempre nella testa del professionista.

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Del progetto si immagina la versione finita ma, da quel primo scambio di battute con il cliente, alla consegna del progetto completo, finito, comprese le posate nei cassetti della cucina, passano infinite telefonate in cui succede più o meno questo: (cliente) “che ne dici se la parete verde diventa rosa perché mio cugino/marito/figlio/amico ha detto che…”, (professionista) “ho pensato di arretrarti la parete del bagno, sono 5 centimetri ma ne guadagni in ariosità per tutta la casa”. In questi scambi succede che il professionista diventa spesso una sorta di psicologo del cliente, trasformando le chiacchiere in sedute da interpretare per non offendere la sensibilità di chi sta commissionando il lavoro e degli eventuali, mariti, figli, parenti vari o amici che hanno una particolare necessità o hanno dato un certo consiglio (scambiando il lavoro dell’architetto per quello del tappezziere o dell’imbianchino, che basta cambiare un colorino e tutto si sistema)

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C’è poco da ridere, perché, su questi passaggi, talvolta, si sono chiuse amicizie storiche trasformando gli scambi verbali dapprima pacati in diverbi da “forum” (sempre che qualcuno si ricordi di cosa si tratta). Comunque, per il professionista, il cantiere è un posto dove la presenza dei committenti e proprietari di quei metri quadrati di superficie della terra dovrebbe essere bandita dal giorno 1 al giorno dopo la conclusione assoluta/totale/immodificabile della casa. E, sempre il cantiere, è un posto dove il professionista passa (o fa finta di passare) volentieri le sue mattinate. Il cantiere è una sorta di rifugio ma anche una specie di scatola magica in cui si vedono realizzate le idee, senza mai capire fino in fondo cosa ha potuto trasformare un foglio di carta in qualcosa di vero, funzionante, pratico, utile a qualcuno.

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Tra le prime idee su una nuova casa e la sua effettiva realizzazione c’è un momento che a certi professionisti regala tanta gratificazione e per certi è una cosa da decoratore. Si tratta della scelta delle finiture su cui l’Architetto (laureato al Poli, si direbbe a Milano) sorride pensando che quello sia un giochino poco rilevante rispetto a posizione delle travi, distribuzione delle stanze e performance tecniche varie. C’è al contrario chi, nella selezione di colori, materiali, superfici perderebbe volentieri i pomeriggi, magari anche quelli del fine settimana. Questa scelta è quasi sempre un compromesso tra i gusti del professionista che riuscirà a proporre, con giustificazioni sempre credibili, i materiali più sconosciuti o rari e le necessità del cliente che prima o poi farà la domanda di rito “Ma è comodo? È facile da pulire? Non sarà meglio usare un materiale più “normale”?.

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Detto che, come tutta la cultura estetica della contemporaneità, anche l’architettura è inclusiva, quale sarebbe un materiale “normale”? L’architetto, molto prima dell’accettazione della “diversità” nelle sfilate e in ufficio, è stato inclusivo. Che si tratti di 5000 o 50 metri quadrati, c’è sempre spazio per qualsiasi tipo e forma e razza di materiale. L’architetto, prima di proporlo al cliente, ne cerca un significato, una corretta applicazione, un’interpretazione. La scelta di materiali e finiture, insieme alla forma data alla casa, alla sua distribuzione, segue una poetica che è propria e diversa per ogni professionista. La composizione finale sarà effetto di infinite prove; l’architetto, anche proponendo quel tono di verde, starà dedicando al cliente una ricerca di ore e giorni spesi a trovare l’equilibrio che farà di quella casa, la vostra casa, il vostro rifugio, la vostra espressione, il vostro progetto da vivere, più che il suo biglietto da visita. E quando l’architetto diventa anche cliente di se stesso? Lasciamo aperta questa domanda e rilanciamo a voi la riflessione.

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