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LA BIENNALE DI ARCHITETTURA 2023: UN’EDIZIONE DA NON PERDERE

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The Laboratory of the Future. Con questo titolo, la Biennale di Architettura 2023 si presenta da subito come un ambiente in movimento, con una proiezione, con la volontà di guidare verso nuovi obiettivi. Visitandola si ha anche l’impressione di vivere un momento di sosta e riflessione, una parentesi; questa edizione è più di ogni altra, un viaggio, in cui le tappe sono panorami aperti e visionari, è una boccata di ossigeno, forse anche perché di architettura c’è n’è meno del solito. Era necessario fermarsi, riflettere e provare a diradare i chilometri di cemento armato che hanno ancora, certo, bisogno di esistere, ma in maniera diversa, forse più rarefatta, forse anche senza per forza aggiungere l’ennesimo edificio di 7 o 70 piani, occupando 7 o 70 ettari, rispetto al contesto in cui sorge. La mostra è densa, ottimista, carica di messaggi e maniere diverse di raccontarli. In certe “stanze” hai l’impressione di far davvero parte di questo enorme laboratorio, uno studio professionale del fare e dell’immaginare; ti viene da srotolare la tua visione e di affiancarla a quella degli altri practitioner, per una discussione collaborativa e costruttiva.

 

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Photo Courtesy: La Biennale di Venezia, Andrea Avezzù

La Biennale del 2023 parla di futuro e di storia tanto quanto di temi contingenti e presenti. Parla anche di come ci sia un certo bisogno di rallentare, spostando il focus da “quante nuove architetture possiamo pensare” a “che missione può avere l’architettura, di cosa lei è già o può diventare la custode?”. Sembra possa diventare custode di storie profonde, di uguaglianza, di difesa delle diversità, nell’enorme potenzialità della condivisione. Condividere saperi, maestranze, creatività, capacità e visioni lasciando che sia possibile una contaminazione e con un intento comune: prenderci cura della Terra, la casa che, per prima, ci sta ospitando. Ecco sì, questa edizione fa percepire più la terra che il cemento armato, lascia tante aperture e spazi liberi verso l’orizzonte, non aggiunge inutilmente, forse sottrae il non necessario.

 

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Photo Courtesy: La Biennale di Venezia, Andrea Avezzù

Quelle raccontate in questa Biennale sono storie di cui senti la forza, rimanendo catturato da una narrazione che arriva potente anche quando è sottile, anche quando le voci sono di creativi di cui non hai mai sentito il nome. Le cose presentate creano empatia di visita e tutto si trasforma in un viaggio anche introspettivo, pensando che l’architettura è poi un secondo corpo e che creare modelli confortevoli, duttili, adattabili, non invasivi, protettivi e resilienti deve diventare la maniera di pensare e costruire nuovi musei, abitazioni, scuole, chiese, le nostre seconde pelli, le secondi pelli della terra su cui sorgono.

 

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Photo Courtesy: La Biennale di Venezia, Marco Zorzanello

Della mostra, oltre che la percezione totale degli spazi, con la loro monumentalità e la loro dimensione, senti e vedi anche i più minuscoli dettagli, i veli, le sfumature; è un’esposizione che chiederebbe di essere vista in una settimana per soffermarsi su ogni più piccolo racconto. La scoperta e l’avvicinamento, l’intreccio, la stratificazione delle cose e delle persone, con le loro singole “voci” che si susseguono, fa pensare alla sempre più urgente necessità di legare le nostre diverse culture per intreccio più che per mescolanza. Intrecciare significa rafforzare un tessuto pur mantenendo ogni singolo filo, con la propria identità; mescolare significa al contrario annullare l’identità e dunque le specificità di ognuno.

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Photo Courtesy: La Biennale di Venezia, Andrea Avezzù

Questa Biennale andrebbe vista e rivista; più volte da soli e più volte anche in compagnia. Non basta un passaggio per leggere tutti gli aspetti che racconta; e non basta la propria lettura del racconto. È una manifestazione che invita al confronto, è una mostra che va vissuta e condivisa, più che guardata ed è impossibile fare oggi un bilancio. Per ora, dopo la prima visita, sembra di poterla riassumere con una definizione: è un’edizione empatica, che ti fa percepire la forza della connessione, tra uomo e terra, tra uomo e uomo, tra donna e uomo, per arrivare ad una convivenza proficua e alla pari, intrecciando più che avvicinando, traducendo lontananze geografiche e necessità ambientali in prospettive condivise e univoche, pur mantenendo ognuno i propri diversi valori storici, territoriali, geografici, umani. Ultima nota: è, forse per la prima volta e finalmente, una Biennale dove si sente una sensualità quasi femminile che ti avvolge, più che un punto di vista calato dall’alto. 

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