Quando l’architettura è camouflage
Nascondersi o camuffarsi con la natura circostante, questo è il primo intento dell’effetto “ camouflage ” in architettura; viene utilizzato proprio laddove si vuole evitare l’impatto forte con l’ambiente creando integrazione, sinergia, in una forma di equilibrio e rispetto reciproco tra la spontaneità e la mutevolezza della natura e la “rigidità” del costruito.
“Juniper House”, di Murman Arkitekter, è un intervento che unisce due discipline diverse: l’architettura e la scenografia. L’impatto della realizzazione di un volume in mezzo al bosco è mitigato dall’uso di una seconda pelle che a tutti gli effetti impacchetta la struttura sottostante e la rende quasi invisibile, o comunque la neutralizza nel paesaggio. La seconda pelle è una sovrastruttura non necessaria dal punto di vista costruttivo, anzi totalmente aggiunta, potrebbe sembrare solo decorativa ma ha una funzione molto significativa proprio perché è l’elemento che attutisce la presenza dell’architettura in un contesto incontaminato.
Phillip K. Smith III è un artista californiano le cui installazioni si inseriscono nel contesto tentando di raccontare la mutevolezza che il paesaggio subisce nelle ore del giorno, nelle stagioni; le installazioni “site specific” dell’artista si integrano e dialogano con l’intorno (che sia esso un deserto o una spiaggia), e specialmente attraverso lo specchio le sculture arrivano ad animarsi della vita stessa della natura: il passaggio delle nuvole, un erbaccia che cresce, l’alba o il tramonto. L’artista ha siglato una recentissima collaborazione con COS e lo vedremo protagonista di un’installazione a Palazzo Isimbardi durante il Salone del Mobile 2018 di Milano.
“Treehotel” è letteralmente un hotel costituito da una serie di stanze sospese tra gli alberi delle foreste Svedesi. Si tratta quasi di un hotel diffuso, dove gli alloggi sono separati e molto diversi tra loro; alcuni spiccano cromaticamente, altri sono integrati nel paesaggio; tra i tanti, un abitacolo simula l’effetto di un nido sovradimensionato, un altro si distingue per la volontà di non aggredire l’intorno ma di integrarlo. Lo specchio diventa infatti, anche in questo caso, il mezzo per annullare la presenza del volume nello spazio facendolo vivere del riflesso dell’intorno. Così la magia della foresta si amplifica in una moltiplicazione di riflessi e di rami.
Atelier Lavit lavora sulla mitigazione dell’architettura attraverso l’uso di materiali e finiture che si trovano naturalmente nel paesaggio circostante. L’effetto che ne risulta è di grande equilibrio e rispetto. Nelle cabine prefabbricate galleggianti per un hotel (in una riserva naturale vicino ad Avignone, sud della Francia), il legno con il quale vengono rivestite le pareti esterne delle strutture sembra lo stesso dei cespugli spontanei cresciuti a bordo dell’acqua, tanto da non far percepire l’impatto dei volumi galleggianti ma facendoli scorgere solo da uno sguardo più ravvicinato.
Il vetro è un altro dei materiali che permettono facilmente l’effetto ” camouflage ” inteso come integrazione quasi totale con la natura circostante; a seconda dell’ora del giorno e dell’effetto di luce artificiale o naturale riesce a rifletter l’intorno o far sparire completamente l’elemento architettonico nel paesaggio proprio perché trasparente. Un esempio scenografico e con una storia curiosa è l’Ice-Q Restaurant, un rifugio alpino, costituito da 900 metri quadrati di facciate in vetro, che sorge ad oltre 3mila metri, tempio gourmet a quattro piani a cui si accede direttamente dalla cabinovia ed anche scelto per il film Spectre, 24º della saga di James Bond; insomma una presenza tanto rerefatta quanto sorprendente e spettacolare.