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Brutalismo, l’estetica radicale che parla al presente

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Montréal, 1967. Sul lungofiume, tra i padiglioni dell’Expo, prende forma un esperimento che somiglia a un paesaggio minerale. Habitat 67 non è solo un edificio: è un villaggio sospeso, fatto di moduli ripetuti che si incastrano l’uno con l’altro come rocce scolpite dal tempo. Lì, tra terrazze e scale segrete, si immaginava un nuovo modo di abitare: collettivo ma intimo, concreto e visionario. È uno dei manifesti del brutalismo, che non va letto solo come estetica, ma come lente culturale capace di riflettere paure e speranze di un’epoca.

alt: "materialiedesign-casa-sperimentale-albero-fregene-campagna-adv-Bottega-Veneta"Photo Credits: OutPump 

Quasi contemporaneamente, in Italia, il cemento grezzo diventa una lingua capace di raccontare comunità e speranze. L’esperimento radicale della Casa Albero a Fregene di Giuseppe Perugini, traduceva la stessa ricerca: immaginare spazi che fossero al tempo stesso rifugio e manifesto. Quest’ultima, sospesa tra natura e scultura, è tornata recentemente sotto i riflettori grazie a una campagna di Bottega Veneta, segno che certi linguaggi, pur estremi, conservano intatta la loro capacità evocativa. Ma anche opere meno celebri come scuole, biblioteche, case popolari, hanno portato nella quotidianità italiana quel senso di crudele bellezza, in bilico tra aspirazione sociale e critica postuma.

alt: "materialiedesign-carlo-aymonino-aldo-rossi-karina-castro-complesso-residenziale-monte-amiata"Photo Credits: Karina Castro per Divisare

Oggi molti percepiscono queste architetture come monumenti difficili, talvolta scomodi, ma dietro quelle masse ruvide resta la testimonianza di un’epoca che credeva nella possibilità di costruire nuovi legami sociali. Guardare complessi residenziali come il quartiere Gallaratese di Carlo Aymonino e Aldo Rossi, significa riflettere sul nostro rapporto con la città: desideriamo ancora comunità? Ogni facciata in cemento porta con sé questa domanda sospesa ed è forse per questo che il brutalismo torna a parlarci con forza. Le superfici ruvide e i volumi monolitici non sono più solo materia, ma memoria che scatena riflessioni sul futuro dell’architettura. Siamo capaci di immaginare spazi che vadano oltre l’estetica levigata?

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È lo stesso conflitto che attraversa il film “The Brutalist” di Brady Corbet. Nonostante i critici abbiano scritto di quest’opera sottolineando come di brutalista ha purtroppo solo il titolo, la pellicola restituisce una tensione che riconosciamo: quella tra aspirazione e realtà, tra progetto e compromesso. Non serve mostrare muri di cemento per evocare quella condizione: basta raccontare la fragilità di chi sogna di lasciare un segno, e l’urto inevitabile con la vita quotidiana.

alt: "materialiedesign-brutalismo-trend-2025-museo-londra-acland-burghley-school"Photo Courtesy: Acland Burghley School

Da Montréal a Roma, fino al grande schermo, il cemento resta testimone silenzioso di visioni radicali. Oggi ci invita a rallentare lo sguardo, a leggere nelle sue crepe non soltanto un’eredità formale, ma la traccia di una ricerca umana ancora attuale: come vivere insieme, come non perdere il senso di comunità nelle architetture sempre più verticali e isolate. In questa direzione si muove anche Londra, dove l’Assembly Hall della Acland Burghley School diventerà il Museum of Brutalist Architecture, il primo museo permanente interamente dedicato al brutalismo: un luogo che restituisce a questa stagione radicale memoria, futuro e condivisione.

In copertina, Photo Courtesy: Safdie Archtects 

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